Where are we going?

Dal DODICESIMO NUMERO dell'Alternatore

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  1. Ste the Engineer
     
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    Where are we going?


    “dove stiamo andando?” chiese Gretel timorosa.
    “dove stiamo andando?” si chiede mio nonno guardando triste il telegiornale.
    “dove stiamo andando?” recitava l'insegna di una mostra che ho visitato a Palazzo Grassi.
    “da dove veniamo? chi siamo? dove stiamo andando?”
    … dove?

    infondo, una domanda come questa può trovare spazio in infiniti contesti più o meno prevedibili... non vi sembra?
    Se cerco di ricordare in quante circostanze ho incontrato una frase simile a questa mi ritrovo di fronte ad un'intricata matassa di situazioni diverse, in età diverse in compagnia di persone diverse. Ma a discapito di episodi privi di un particolare significato, come ad esempio la volta della mostra visitata in compagnia di una sorella, di un cretino e di un buon ragazzo o, ancora, la volta di mio nonno che mi commuove sempre così tanto, l'ultimo episodio che ha visto queste quattro parole protagoniste, le ha trasformate nel punto di partenza e nell'ironica conclusione di una piccola riflessione.
    Un episodio ed una riflessione che non appartengono solo a me e che hanno preso voce da un personaggio di fantasia.
    Un episodio ed una riflessione nati appena due giorni fa, mentre gelavo nell'atrio di Villa Farsetti raccontando favole ai bambini.
    Per l'appunto, il raccontare favole ai bambini... l'onere dolce e non semplice capitato a me ed ai miei illustri colleghi Cappuccetto Rosso, Regina delle Nevi, Bella Addormentata, dottor Schultz il circense, musicanti di Brema e principi vari, ha costituito il momento di riflessione finale.
    Una riflessione che ha visto la domanda “where are we going?” riferita ai bambini, così fragili, così decisi, così istintivi...scaturita nella sua forma più embrionale dalla triste impressione che molti, anzi moltissimi di loro non conoscessero alcuna favola, sebbene i loro occhi bevessero ogni parola con un'attenzione che quasi mi disarmava, alle volte.
    Poi la riflessione si evolve... che cos'ha preso il posto delle favole?
    Un vago Niente che costringe i bimbi a guardarsi intorno con diffidenza, con un timore che schiaccia rabbiosamente la curiosità.
    E non ci sono i sassolini di Hansel o l'astuzia di Pollicino a riportarli a casa...
    decido di parlarne durante una pausa con il mio collega, Mago Merlino, inglese d'origine, in realtà.

    “hai notato che i bambini non ne conoscono una di queste favole?”
    “in questo gruppo davvero nessuno. Ma neanche negli altri, ti dirò...God damn.”
    “come mai i genitori li portano qui, allora?”
    “per loro stessi, infondo queste favole appartengono a loro, non ai loro figli”
    “E' una constatazione amara, non so se crederci”

    Mi fa spallucce, il buon Merlino, e torna a far piroettare la sua bacchetta di legno, per accogliere un nuovo gruppo di bambini. La porta si apre, così tanti occhi e occhietti incuriositi sbirciano e tirano il collo più che possono, per vedere meglio il curioso signore con il cappello blu decorato da tante stelline ed una ragazzina coperta di stracci con una (imbarazzante) cuffietta da nonna sulla testa, che accende i suoi fiammiferi uno dopo l'altro.
    (Ebbene sì, impersonavo la piccola fiammiferaia, resti tra noi)
    Si forma subito un cerchio di bambini timidissimi, curiosi, pieni di meraviglia.. quanto sono belli.
    Per la diciottesima (!) volta racconto la mia favola.
    Se qualcuno di voi non lo sapesse, “la piccola fiammiferaia” è una favola di Hans Christian Andersen incredibilmente triste, che inizia male e finisce peggio e nonostante il mio timore di deprimere i bambini, l'organizzatrice dell'evento aveva insistito affinché la raccontassi nella versione originale ed integrale.
    Le reazioni dei vari bimbi, fino a quel momento, mi avevano davvero lasciata interdetta: mi guardavano poco convinti, si giravano verso i genitori come per dire “applaudiamo adesso?”, chiedevano se potevo abbracciarli per la foto o lasciare loro un fiammifero.
    La favola invece niente, non li aveva toccati, non la conoscevano, non era interesse loro conoscerla.
    Pensavo di averla raccontata male, pensavo di non essere stata capace io, ma poi è arrivato questo diciottesimo gruppo. E non l'ho raccontata meglio o diversamente, fatto sta che uno dopo l'altro i bambini iniziano a piangere e mi si stringono intorno alla gonna ingombrante e dicono che il fiammifero me lo comprano loro e che andrà tutto bene. Li rassicuro, la fiammiferaia è viva e ha ritrovato la nonna, quella del freddo era solo una scusa per riflettere sul da farsi e nessun bambino può morire la vigilia di Natale. I bambini se ne vanno sollevati.
    Mi guarda il vecchio Mago Merlino:

    “che fai? cambi il finale?”
    “chiaro, questo Andersen era un sadico cronico! terribile!”
    “Sure... ma i bambini di prima non erano sconvolti quanto questi”
    “preferisco prevenire che curare”
    “My God...”
    “cosa?”
    “sto molto meglio ora che li ho visti piangere.
    Sai Fiammiferaia, le favole ci insegnano le prime emozioni. C'è un dibattito aperto sull'ipotesi che sia loro compito oppure no insegnare anche cosa sia il lavoro, le difficoltà della vita o la morte, certo. Ma se questi genitori hanno scelto di non raccontare ai loro figli le favole un motivo dev'esserci di sicuro, but...”
    “cosa?”
    “la cosa mi preoccupa. Magari è solo una sciocchezza...”
    “no, non lo è. Ci stavo pensando anch'io... ricordi?”
    “io piango ancora per la favola della piccola fiammiferaia. Non solo per la favola in sé, ma anche perché mi ricorda mia madre, che le favole me le raccontava. Infondo è una cosa minima... no? Se non si usa più nemmeno questo mi chiedo come riempiano queste piccoli buchi neri tutti quei bimbi”
    “beh, madri e padri hanno delegato l'impegno a noi, è già qualcosa... non per nulla sono qui”
    “sì ma a loro, ai bimbi quanto resta?”
    “resta qualcosa. Prima o poi germoglierà”
    “God damn it... where are we going?”
    “andiamo lontano, Merlino. Partiamo dalle favole raccontate in questa villa e diamo fiducia alle menti in evoluzione di tutti questi piccoli uomini. Perché mettere alla berlina gli ex bimbi che li hanno accompagnati?”
    “io ti dico che la motivazione c'è. Facciamo una cosa, fiammiferaia”
    “che cosa Merlino?”
    “racconta una favola, se ne hai occasione, a più persone possibile. A tua scelta, una favola bella. Una favola che mi dia l'impressione che questo germoglio c'è”

    E con queste parole mantengo parte della mia promessa:

    D'un tratto nel folto della grande foresta era scoppiato l'incendio più furioso e devastante che si fosse mai visto...
    Tutti gli animali erano scappati sulle rive del fiume e gridavano spaventati e si lamentavano: "Poveri noi, i nostri nidi distrutti, le nostre tane bruciate, la nostra erba... i nostri alberi... che disastro, che disastro!..."
    Solo un colibrì non si era unito alla depressione generale.
    Si era avvicinato all'acqua e aveva preso una goccia nel suo becco.
    Dopodiché era volato sul fuoco e aveva lasciato cadere la goccia.
    Dopo il primo viaggio ne fece parecchi altri, finché qualcuno degli animali piangenti lo notò e gli urlò dietro: "Illuso! Che cosa credi di fare con le tue goccine d'acqua contro questa violenza?"
    Il colibrì si fermò a mezz'aria e, a becco pieno, rispose:
    "Faccio quello che so fare... faccio quello posso fare"


    di ELENA GRIGGIO
     
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