AMBA ARADAM: LA NOSTRA VERGOGNA

dall' OTTAVO NUMERO de L'Alternatore

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  1. * gIoRgInA *
     
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    di Giorgia Castiglioni

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    Amba Aradam è una montagna (Amba appunto) che si trova in Etiopia.
    Il nome in italiano ci ricorda un allegro caos, mentre il dizionario De Mauro riporta: "grande confusione, baraonda".
    Forse però non tutti conoscono la triste origine di questo modo di dire.
    Il governo fascista di Benito Mussolini, dopo il 1929, fece dell' espansione imperiale uno dei suoi temi favoriti. Il duce aspirava alla ricostruzione di un vasto e potente impero, offuscato dall'oblio di poter ricostruire un impero simile a quello Romano.
    Naturalmente non poteva certo essere sufficiente la costruzione di edifici in stile neoclassico, erano diventate necessarie anche delle conquiste.
    L' Etiopia era l'unico stato, insieme alla Liberia, ancora indipendente e inoltre le truppe Etiopi sembravano poco numerose e scarsamente preparate e difendevano un territorio ricco di risorse naturali. Quali migliori motivazioni avrebbe potuto trovare per dichiarare guerra?
    Così tra il 1935 e il 1936, iniziò e si concluse, dopo sette mesi, la Guerra d' Etiopia e il 9 maggio 1936 il Duce annunciò la proclamazione dell' Impero.
    Quello che non venne mai annunciato però dal balcone di Palazzo Venezia fu il massacro che tre anni dopo macchiò di vergogna tutto il nostro paese e che distrusse in modo agghiacciante la vita di migliaia di uomini, donne e bambini etiopi.
    Nei primi giorni di aprile del 1936 Abebè Aregai, capo del movimento di liberazione Etiope, scoperto dall' Esercito Italiano, decide di rifugiarsi, insieme ai partigiani che si trovavano con lui, nella grotta di Amezena Washa (che il lingua locale significa "Antro dei Ribelli") del monte Amba Aradam.
    La carovana era composta da membri della resistenza, ma anche e soprattutto da donne, vecchi, bambini e da tutti i loro parenti, che avevano il compito di provvedere alla cura dei feriti e al sostentamente dei partigiani stessi; in totale più di mille persone. La sproporzione è lampante.
    Mussolini ordina immediatamente di stroncare la ribellione e di stanare i ribelli, ma l'impresa risulta in breve tempo più ardua del previsto e così il 9 aprile l'esercito italiano, nello specifico il "plotone chimico" della divisione Granatieri di Savoia, attacca la grotta con bombe a gas d'arsina e con la micidiale iprite, un agente vescicante, ovvero morte orrenda, inflitta vigliaccamente con sofferenze inaudite. Nonostante l'Italia avesse firmato il bando internazionale di queste armi Mussolini diede comunque l'ordine di utilizzarle, e in più di qualche occasione.
    Il 10 aprile, una quindicina tra i ribelli sopravvissuti riesce a scappare, mentre molti cadaveri vengono gettati fuori dalla grotta.
    All' alba dell' 11 aprile altri, che non sono ancora morti avvelenati, decidono di arrendersi. Sono 800 persone, come si legge dal documento ufficiale, che verranno tutte fucilate il mattino stesso per "ordine del Governo Generale".
    Purtroppo non è ancora finita. Sopravvivono ancora uomini, donne e animali e così l'esercito chiede il lanciafiamme per "bonificare" la caverna, che risulta troppo estesa e ramificata per poter essere esplorata tutta e quindi per permettere di stanare effettivamente tutti i ribelli.
    «Si prevede che fetore cadaveri et carogne impediscano portare at termine esplorazione caverna che in questo sarà ostruita facendo brillare mine. Accertati finora 800 cadaveri, uccisi altri sei ribelli. Risparmiate altre 12 donne et 9 bambini. Rinvenuti 16 fucili, munizioni et varie armi bianche» così recita uno dei numerosissimi telegrammi scambiati tra la divisione e il Duce.
    Fu una carneficina, fu una devastazione totale, un' irrazionalità contro ogni norma della convenzione di Ginevra. Una vergogna ignorata per anni, che solo nel 2006 sarà riportata alla luce, grazie al giovane Matteo Dominioni, dottorando italiano all'università di Torino, che, partendo da un malloppo di documenti rinvenuto per caso nell'ufficio storico dello Stato maggiore dell'Esercito, si è messo sulle tracce del massacro.
    Ma nonostante tutto se ne è parlato poco, pochissimo.
    Un bellissimo articolo di Paolo Rumiz, uscito su Repubblica il 22 maggio 2006, è l'unica cosa dettagliata che si riesca a trovare in rete sull' argomento; in Italia solo quattro città hanno dedicato una via al nome di questa strage: Roma, Genova, Mestre e Padova.
    L'orrore è stato coperto per anni clonando una nuova parola che avesse un significato completamente diverso e che ricordasse, nella memoria di tutti, qualcosa di totalmente diverso.
    E quando cerco di capirne il motivo mi viene in mente soltanto una parola: vergogna.

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  2. rocchina
     
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    Un bell'articolo che leggo ora casualmente. Tante verità nascoste ai più. Con quello che il popolo Etiope aveva ricevuto dagli italiani di Mussolini al momento del ritorno dell'imperatore sul suo trono, Hailè Selassiè I fece un appello accorato alla nazione affinchè non venisse torto un capello agli italiani rimasti nel territorio : " Non compensate il male con il male, non commettete atti di crudeltà come quelli che il nemico ha commesso contro di noi. Non infangate il buon nome dell'Etiopia. Noi faremo ritornare il nemico per la stessa via dalla quale è venuto."

    E la propaganda mussoliniana asseriva che si era andati a civilizzare L'Etiopia.....

    Ti consiglio, se non lo conosci già un libro "Memorie di una principessa etiope"di Martha Nassibou . Quegli anni visti con gli occhi di una bambina che dagli agi e affetti della sua casa fu costretta esule in Italia.

     
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  3. bruno strada
     
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    uno zio fratello di mia madre ha combattuto da quelle parti,solamente lui si limitava a dire di aver visto cose di cui non si può andarne orgogliosi.
     
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2 replies since 21/9/2009, 17:01   23212 views
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